Il progetto dell’Anfora Tombolini 100 anni.
L’anfora è da quasi 70 anni il simbolo identitario del Verdicchio dei Castelli di Jesi. È anche un’immagine dalla potenza unica di quello che Jung definirebbe come il nostro inconscio collettivo: l’anfora è il primo contenitore di vino della storia.
In Georgia e Armenia, le regioni vinicole più antiche del mondo, le testimonianze delle prime coltivazioni di vigne risalgono a circa 8000 anni fa, nell’età neolitica. Secondo Hugh Johnson, tra i più grandi critici ed esperti di settore, le anfore georgiane in terracotta (kvevri) risalgono al 5000 a.C. e sono prove della vinificazione sistematica che aveva luogo in quelle terre fin da quel periodo.
Le prime testimonianze di anfore più simili a quelle che conosciamo oggi risalgono attorno al 1500 a.C., ossia al tempo in cui delicatissimi recipienti cavi di vetro venivano destinati in Egitto all’uso dei faraoni durante il loro viaggio nel regno delle ombre.
A sinistra: un kvevri georgiano; a destra: moderne uova di cemento
Nel I° sec. a. C. a Tiro e Sidone un vetraio ebbe la brillante idea di utilizzare un tubo di vetro ed introdurre l’estremità in un crogiolo, prelevare una certa quantità di vetro fuso e successivamente soffiare all’interno del tubo stesso; la bolla di vetro che si formò in questo modo segnò la nascita del “vetro soffiato”.
Con la nascita e la conseguente diffusione di questa tecnica, il vetro divenne il materiale preferito per la conservazione di bevande, ma queste bottiglie erano ancora troppo fragili. È solo grazie alla nascita del cristallo al piombo intorno alla metà del 1600 in Inghilterra ed in Boemia del cristallo potassico che scopriamo finalmente la vera bottiglia atta alla conservazione ed al trasporto delle varie bevande.
Se la prima “bottiglia” è stata un’anfora, il suo primo colore qual era? Da quando il vino ha cominciato ad essere conservato e commercializzato nelle bottiglie di vetro il colore dominante è stato il verde, in tutte le sue sfumature e tonalità.
Il motivo era prevalentemente tecnico. Il vetro assumeva una colorazione tendente al verde durante il processo di produzione a causa di impurità che erano presenti nei materiali soffiati. In particolare, erano le componenti di ferro a donare questo colore.
Il verde è successivamente diventato una scelta: alcuni colori, soprattutto quelli scuri, garantiscono al vino una protezione efficace dalla luce solare. Alcuni studi hanno dimostrato che il verde è un colore ritenuto particolarmente accattivante per il consumatore e in qualche modo legato al concetto di tradizione. Il verde resta attuale: è l’unico colore da scegliere per salvare il pianeta.
Negli anni e in diversi terroir i produttori decideranno di personalizzare le forme delle loro bottiglie. La Francia definisce lo standard, con borgognotta e bordolese. La Germania segue con la renana o alsaziana, la cui forma allungata a “flauto” deriva dalla ricerca della massima economicità nel trasporto su chiatta sul fiume Reno (con forma distesa e nessuna buca o colpo da attutire).
In Italia daremo il nostro contributo più tardi. È nostro il fiasco toscano prodotto per soffiatura e rivestito di paglia intrecciata che permette alla bottiglia di stare in piedi autonomamente e la protegge dagli urti che doveva sopportare quando trasportata su strade di campagna.
In Piemonte, nel 1973 i produttori si alleano in un grande progetto di recupero della Albeisa, che prende il nome dalla città di Alba e viene utilizzata per Barolo, Barbera e Dolcetto. Viene così recuperata un’icona del territorio sin dal 1700 e se ne permette l'utilizzo solamente alle cantine delle Langhe, identificandole con il packaging.
Venti anni prima, nel 1953, nasce tra Milano, Roma e Cupramontana l’anfora verde disegnata dall’architetto Antonio Maiocchi - forse una delle prime bottiglie di design al mondo. La stessa eccellenza del design italiano che creava la Vespa e la Fiat 500 applicato all’alfiere dei bianchi italiani nel mondo: il Verdicchio. Oggi l’anfora del Verdicchio è riconosciuta come una delle poche forme di bottiglia originali al mondo.
Ma non siamo stati noi italiani ad usarla per primi. La prima istanza di anfora come bottiglia per vino moderna risale al 1930, quando in Provenza René Ott disegnò la bottiglia denominata “Domaine Ott”, ancora oggi icona di questa storica cantina e dei vini rosé di quella zona. In un’epoca in cui poche cantine provenzali erano commercialmente consapevoli, il gesto non passò inosservato e rese la bottiglia protagonista e sinonimo di vino di qualità per il resto del XX secolo in tutta la Francia.
La Domaine Ott ideata da René Ott
Sante Tombolini aveva acquistato i suoi primi vigneti a San Paolo di Jesi nel 1944, tra i primissimi a intuire le potenzialità del Verdicchio. Ci ha tramandato evidenze del fatto che la bottiglia ad anfora “grecizzante” (non di design) era già utilizzata molto prima del 1953 in Italia – si hanno esempi nei liquori e anche nel vino, incluso Verdicchio, facilmente rinvenibili ancora oggi su internet. Nel 1954 anche Giovanni Tombolini adotta l’anfora per il suo Verdicchio, insieme a tutti i principali produttori dell’epoca – l’anfora diventa sinonimo di Verdicchio dei Castelli di Jesi, molto prima che nascesse la DOC (1968).
L'evoluzione dell'Anfora Tombolini nei decenni
Nel 1972 Giovanni Tombolini incarica un noto designer, l’architetto Luigi Massoni di Milano - ricordato per i suoi progetti per grandi marchi italiani come Alessi, Boffi, Poltrona Frau e Guzzini - di sviluppare l’anfora personalizzata per il primo Verdicchio dalla sua nuova cantina di Staffolo: l’anfora Castelfiora. Dopo un lungo studio di design insieme all’Architetto Simonetta Doni di Firenze, nasce quindi la nuova anfora Tombolini 100 anni. Nel 2021 diventiamo così una delle pochissime cantine marchigiane ad avere due modelli di anfora registrati e disegnati da grandi architetti.
I due vini del nuovo corso Tombolini: Doroverde e Castelfiora, entambi nell'Anfora 100 anni
Perchè l’anfora? La nuova anfora è certamente il nostro modo di rendere omaggio alla tradizione di famiglia che compie 100 anni nel vino ma è soprattutto la nostra sfida per tornare a distinguere in modo immediato le peculiarità e il valore del nostro vitigno e terroir rispetto al resto dei vini italiani e del mondo. Nel tempo la bottiglia ad anfora, questa magnifica forma così ricca di storia e valori, è stata screditata, plasmata in modi differenti, prestata a scelte enologiche e commerciali sfortunate.
Non ci sentivamo bene a parlarne con forzata ironia (“l’anforetta”), il vino (il Verdicchio) è una cosa maledettamente seria per noi. Ci colpiva poi il malcelato rimpianto di alcuni storici nomi del Verdicchio, che hanno abbandonato questa forma iconica. Non capivamo perché, seduti con i nostri ospiti negli straordinari ristoranti delle Marche, non potevamo mostrare sul tavolo l’icona assoluta del nostro vino. Non capivamo perchè il pregiudizio dei baby boomers doveva privare i millennials e i giovani appassionati di una bellezza del genere.
Non ci piaceva più vederla solo al supermercato, sullo scaffale. Volevamo che tornasse a brillare ovunque: fresca, giovane e affascinante. Cosi’ l’abbiamo ripensata. Ispirata alla “modernista” Castelfiora del 1972 ma studiata per essere completamente diversa da tutte le altre: alta come una renana, slanciata – non sinuosa. Geometrie eleganti e materiali che parlino di storia. Una grande facilità di servizio grazie alle linee del piede che permettono una facile presa. Bocca filante che lascia scivolare perfettamente il vino e che permette, per la prima volta, di chiuderla con una capsula in polilaminato o stagno.
L’anfora per noi non è nostalgia, non è un amarcord. È il nostro “Ritorno al Futuro”. È un’arma nell’arsenale del vino italiano da riaffilare. Perchè il Verdicchio oltre a essere autoctono, marchigiano - non lo diciamo solo noi - è probabilmente il piu’ grande vitigno a bacca bianca del mondo (cfr. Wine Enthusiast). Perché privarlo della fortuna di poter vestire un abito proprio, bellissimo e diverso da tutti gli altri vini? Solo ad una condizione: quell’anfora deve contenere solo i Verdicchio migliori – a partire dal Classico Superiore (presto DOCG) in sù. È cosi’ che vogliamo capovolgere il paradigma degli ultimi 30 anni della denominazione. L’anfora puo’ anche diventare uno strumento di aggregazione tra produttori, trasformata in immagine che identifichi l’apice del Verdicchio: di alta qualità, da areali particolarmente vocati, che segua disciplinari più stringenti, che venda a prezzi minimi più congrui al costo che comporta essere proprietari viticoltori. L’anfora potrebbe farci riconquistare forza come territorio. Ma i primi a doverla rispettare e amare dobbiamo essere noi, i marchigiani.
P.S.: delle volte si cita quella che è senza dubbio la bottiglia più brutta della storia come se fosse una derivazione dell’anfora, mi riferisco a quella a forma di pesce. E’ vero, qualche grande nome delle Marche del vino l’ha usata. Ma era in ottima compagnia visto che era così vestito anche il Soave 1977 della prima cantina italiana, marchio culto nel mondo del vino. Basta cospargersi il capo di cenere marchigiani e… avanti.